Il fallimento comunista negli scritti di Enrico Berlinguer

E’ stato un umorista, questo almeno si ritiene, ad infastidire l’umore dei cattolici asserendo che i comunisti italiani hanno avuto il loro Bergoglio prima dei fedeli alla Chiesa di Roma. Il Bergoglio rosso sarebbe stato Enrico Berlinguer. La “trovata” avrebbe voluto essere nelle intenzioni dell’autore una battuta ad effetto, ma non ha raggiunto lo scopo perché del tutto dissimile dalla realtà: il confronto è lungi dall’essere possibile.

Infatti, l’austerità su cui volle insistere per qualche tempo il politico sardo fu un tema della propaganda del suo partito. Ben altro dalla scelta di vita proposta in pieno spirito evangelico dal successore di Benedetto XVI. Così il pressante appello dell’attuale Pontefice alla fraterna solidarietà verso gli emarginati ed i negletti non si può avvicinare o addirittura confondere con la teoria marxista-leninista, riferimento costante di Enrico Berlinguer. Una teoria che indica, come è tristemente noto, nello scontro di classe, ritenuto inevitabile, l’unica uscita dal vicolo cieco delle divisioni e delle sopraffazioni. E’ evidente come l’apologia evangelica non abbia neppure una lontana parentela con l’ideologia pauperistica oggi in voga: ideologia che, mascherata da “teologia della liberazione”, ha trovato un forte, insuperabile ostacolo in Giorgio Mario Bergoglio che si faceva scudo della virtù teologale della carità per fronteggiare lo stimolo alla lotta di classe, foriero di desolazione e morte. A proposito, chissà se il nuovo papa non si prefigga di realizzare sulla terra con la “nuova evangelizzazione” quell’intesa celestiale già raggiunta tra il cantore della regalità di Cristo, Franceso d’Assisi e il santo hidalgo spagnolo, Ignazio, divenuto irriducibile propugnatore della Controriforma tridentina?

Pertanto, papa Bergoglio non può essere paragonato ad un agitatore politico, asserragliato dietro gli schemi ideologici che impediscono proprio quella visione di serena fraternità auspicata dal Pontefice. La verità è che il comunismo è stato ed è tuttora elemento di rovinosa      contrapposizione e Berlinguer lo sapeva  tanto è vero che la sua strategia è  stata costantemente finalizzata, anche quando era espressa con toni morbidi, a portare lo scontro su un piano sempre più subdolo e aspro. Le sue indubbie sconfitte, riconosciute pure da storici della sua area, sono la conseguenza del suo accanimento nel voler fare del p.c.i. il modello del “partito di lotta e di governo”, cioè, del partito che conduce una lotta spietata e ad oltranza per impadronirsi del governo e trasformarlo in regime.

A ben riflettere le sue iniziative non hanno favorito l’attuazione dei piani elaborati successivamente ai piani superiori delle Botteghe Oscure. Ma questo è dipeso dalla situazione internazionale verificatasi dopo il cambio degli oligarchi al Cremino. Non per merito degli italiani che  si mostrarono e proseguono a mostrarsi passivi dinanzi ad un paese allo sfacelo.

E’ uscito per Einaudi un volume che raccoglie interviste e scritti dell’ex segretario del partito comunista italiano. “La passione non è finita” è il titolo del libro che merita di essere letto per riflettere sul passato e renderci meglio conto della tragedia cui l’Italia andrà incontro se non saprà difendersi da una coalizione che tiene insieme le utopie perverse del socialismo e le mire di un clericalismo non rassegnato a perdere il potere e quindi disposto ad accettare anche il più disonorevole dei compromessi.

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